La sfida dell’educazione digitale nell’era dell’ipnosi collettiva

In un’inconsueta serata di maggio, i riflettori illuminano il palco mentre le note musicali fluttuano nell’aria del Circo Massimo. L’energia è palpabile, ma c’è un elemento che, sempre più spesso, sembra rubare la scena: lo schermo luminoso degli smartphone. Enzo Di Frenna, fervido oppositore del tecnostress, ha identificato il fenomeno sfociato in quello che ha definito “l’ipnosi collettiva da smartphone“.

Un monito che risuona nel tempo: “Tutti i cellulari in tasca”

Achille Lauro, in un momento di comunione tra arte e pubblico, esorta: “Tutti i cellulari in tasca, grazie. Domani lo raccontate”. Parole che nella loro semplicità celano un appello all’autenticità dell’esperienza vissuta, lontano dagli schermi. Eppure, secondo Di Frenna, queste iniziative, seppur lodevoli, rappresentano una soluzione solo temporanea, incapaci di infrangere il circuito di dipendenza dello sguardo digitale.

L’educazione digitale come chiave di volta

Secondo l’esperto, per contrastare efficacemente il fenomeno, è cruciale puntare sull’educazione digitale già dalle scuole. L’obiettivo è formare individui capaci di gestire con consapevolezza e autocritica i propri dispositivi, evitando che diventino estensioni permanenti delle loro mani e degli occhi, filtrando passivamente la realtà.

Il ruolo delle celebrità e delle istituzioni

L’influenza delle personalità note potrebbe giocare un ruolo decisivo nel cambiamento. Di Frenna suggerisce che, affinché si possa realmente parlare di una differenza nel comportamento collettivo, i personaggi pubblici dovrebbero utilizzare il proprio seguito per esercitare una maggiore pressione sulle istituzioni, affinché queste ultime adottino misure concrete e strutturali per affrontare la questione.

Lo spettro dell’algoritmo: tra intelligenza artificiale e dipendenza digitale

Il crescente implemento dell’intelligenza artificiale negli smartphone comporta rischi che vanno oltre la semplice distrazione. Questa tecnologia, sempre più affinata, è capace di adattarsi e prevedere i desideri e le esigenze degli utenti, trascinandoli in un vortice di contenuti personalizzati che rischia di compromettere ulteriormente la loro capacità di distacco e riflessione critica sull’uso della tecnologia. Un’ipnosi digitale, quella descritta da Di Frenna, che si insinua silenziosamente nella quotidianità, legando l’individuo a un’esistenza sempre più mediata dal digitale.

La consapevolezza di trovarsi, forse, all’alba di un nuovo modo di vivere l’esistenza digitale interpella tutti: utenti, educatori, artisti e istituzioni. La sfida, in questo senso, è monumentalmente collettiva: richiede un ripensamento della nostra relazione con la tecnologia, affrontandola non come un nemico ma come uno strumento che, se ben gestito, può arricchire piuttosto che svuotare la nostra esperienza umana.

In quest’ottica, l’intervento al concertone dell’1 maggio non è che l’incipit di una riflessione ben più ampia che interroga ciascuno di noi sul proprio rapporto con la tecnologia. Come possiamo, allora, reinventare questo legame, facendo sì che gli strumenti digitali riassumano il loro ruolo di servitori piuttosto che di tiranni della nostra attenzione?

La risposta, complessa e sfaccettata, si annida forse nel cuore stesso della nostra capacità di immaginare un futuro in cui tecnologia, educazione e umanità possano coesistere in un equilibrio dinamico, rispettoso delle nostre più profonde esigenze umane.